
Ho letto, sebbene con qualche anno di ritardo rispetto alla sua uscita, un gustoso (la scelta dell’aggettivo non è casuale) libro pubblicato dalla Edas di Messina, Il Pranzo, di Giuseppe Amedeo Mallandrino Cianciafara, o Amedeo Mallandrino, per brevità. Se volessi usare formule un po’ sfruttate, potrei dire che Mallandrino è “l’ultimo Gattopardo”, ma gliela risparmio… dirò invece che è un illustre discendente di famiglie aristocratiche che hanno segnato la storia di Messina e della Sicilia, come i Filangeri, i Piccolo – e di conseguenza Tomasi di Lampedusa – e i Cianciafara, borghesi ma non meno illustri. Non vive isolato dal mondo nel suo piccolo (si fa per dire) paradiso di villa Cianciafara, ma anzi si può dire che nel suo eremo il mondo lo accoglie, sotto la forma di conferenze, presentazioni ed eventi culturali di ogni genere. E lo stesso facevano le generazioni prima della sua.
Il Pranzo – che in realtà nel mondo dell’aristocrazia indicava la cena – racconta infatti un evento di gala tenuto a palazzo Cutò a Palermo, in via Lincoln, il 24 aprile 1924, e la ricorrenza centenaria mi è sembrata una buona occasione per ricordare il libro e consigliarne la lettura. Protagonista assoluta del libro come dell’evento è la contessa Maria Antonia, nonna materna dell’autore e moglie di Filippo Cianciafara, fotografo d’arte che, cugino di Giuseppe Tomasi e dei fratelli Piccolo, condivise con loro il talento e l’amore per il bello. Filippo meriterebbe una trattazione a sé, ma mi limito a rinviare al bellissimo libro dedicatogli da Dario Reteuna e pubblicato da Magika nel 2008 (L’occhio del Gattopardo. Filippo Cianciàfara Tasca di Cutò e la fotografia d’arte in Sicilia). Ancora i Gattopardi.
Eroina è quindi Maria Antonia, ma il deuteragonista è di tutto rispetto: è il personaggio in onore del quale Il Pranzo viene organizzato, il duca Amedeo d’Aosta, che con Maria Antonia vanta una frequentazione profonda. Mi rifaccio alle parole stesse dell’autore: “L’animo dolce ma focoso di lei, che già aveva falciato schiere di ammiratori, e la posizione altolocata di lui, non disgiunta dalla innata bellezza di entrambi, fecero sì che presto giungessero ad una convergenza di intese, una assiduità di relazione, una confidenza di legame, una intimità di rapporto, che non potevano sfuggire nei pettegoli ambienti dei salotti che frequentavano”. (Aggiungo la mia personalissima opinione che forse a regnare ci è andato il ramo sbagliato della famiglia…) Un ospite di tal fatta merita un’organizzazione senza sbavature: non mancano quindi i mille accorgimenti per una perfetta riuscita dell’evento, ma soprattutto non mancano le figure che renderanno possibile e perfetto tutto ciò. Il libro è il racconto di un evento mondano, ma si legge come un romanzo, e come un romanzo brulica di personaggi, che Mallandrino non manca di descrivere e spesso mostrare nelle foto che, assieme ad altri documenti, rendono ancora più prezioso il lavoro. Sono personaggi di alto lignaggio, ma anche personaggi solo apparentemente secondari, che si rivelano insostituibili: Francesco Denti, il maestro di casa, appartenente a un ramo cadetto di una famiglia aristocratica e per questo profondo conoscitore dell’etichetta e del protocollo; il monsù Pietro Monteleone, detto Pietrino, abilissimo a creare piatti che stuzzicano tutti e cinque i sensi; la squadra dei camerieri, gli ospiti e le altre figure di contorno, ognuna delle quali fornisce il proprio contributo a rendere memorabile la serata, di cui ricorre un centenario che meritava di essere ricordato.