La scomparsa di un notaio, un delegato di pubblica sicurezza che si barcamena tra ipotesi di suicidio, omicidio, di sparizione volontaria, rapimento. Sullo sfondo una città vivace, che non esiste più da oltre cent’anni È possibile raccontare la Messina di fine Ottocento, degli anni immediatamente precedenti alla catastrofe che ne cambiò per sempre il volto e l’anima, e ritrovare i suoi monumenti, le strade, gli abitanti, in una narrazione technicolor? La risposta è sì, e il piccolo capolavoro che lo dimostra è “La Fata e la Lupa”, di Gerardo Rizzo che sarà presentato oggi pomeriggio, alle 18.30, a Villa Cianciafara. Dedicato a Giovanni Raffaele, è un giallo classico che ha come protagonista il delegato di pubblica sicurezza Edoardo Baldassa, nativo di Castelfranco Veneto e confinato a Messina in mezzo ai selvadeghi per espiare un peccato mortale, colto in flagranza dal suo diretto superiore, sul luogo del delitto più antico del mondo. È così che Edoardo giunge in Sicilia, lontano dalle fin troppo amorevoli cure della madre e della aspirante moglie Carolina Vendramin, coccolato dall’ospitalità della padrona di casa dell’appartamento in cui risiede, e dalle braccia delle donne – artiste, per lo più- le cui grazie allietano i giorni difficili dell’indagine che gli viene affidata: la scomparsa del notaio Girasella, dileguatosi nel nulla dopo aver venduto per una cospicua somma di denaro il suo mestiere di notaio. Al fianco di Baldassa, l’appuntato Giovanni Rinaldi, e l’amico Arenaprimo, baronello di luminoso lignaggio, che istruiranno l’amico investigatore sulla natura particolare del territorio messinese, luogo in cui la fanno da padrone la Fata e la Lupa, due fenomeni naturali che, per rifrazione ottica o per nubi dense, alterano la percezione del reale: “Fuor di metafora” dirà Arenaprimo “potremmo dire che Messina è la città dove niente è come sembra; o dove niente appare nella sua interezza”.
La fata e la lupa, il giallo “classico” di Gerardo Rizzo per ritrovare Messina (di Eliana Camaioni)