Le sere del 24 dicembre hanno un’aria particolare, lo insegna anche Dickens in “Racconto di Natale”. Siamo anche nei dintorni della notte più lunga dell’anno: fa buio presto, e se non hai davanti a te una notte di Natale particolare da trascorrere, sei anche più scazzato del solito, e noi non avevamo davanti nessuna notte di Natale da trascorrere se non a casa: cena, panettone e nanna. Quelli erano anni in cui andavamo in chiesa, anche se andare alla messa di mezzanotte era chiedere troppo; però ci sentivamo più buoni. Quella volta eravamo un terzetto insolito: io, Nino e Gino. Nino e Gino sono due nomi di fantasia, ça va sans dir, ma le persone erano assolutamente reali. Io e Nino, per la verità, eravamo sempre assieme, ma non saprei dire come mai Gino fosse con noi quella sera.
Stavamo alla fermata dell’autobus al Villaggio Aldisio, seduti su un muretto al buio, a discutere dei massimi sistemi del mondo e guardare passare i mezzi che correvano verso monte e verso valle. Passò il numero 12 verso monte, si fermò, fece scendere e salire le persone, ripartì, la zona ricadde nel buio. Noi vedemmo a terra una borsa femminile. Ci catapultammo per recuperarla, uno di noi – non saprei dire chi – la afferrò, e scappammo a perdifiato verso la campagna degli Angeli.
Quando ci sentimmo al sicuro, ci fermammo a rifiatare. Aprimmo la borsa e la vuotammo: nessuno lo disse, ma a distanza di tantissimo tempo sono sicuro che nelle teste di tutti passò il medesimo pensiero: speriamo che non ci siano documenti d’identità. Portafoglio, mazzo di chiavi, fazzolettini di carta, un mini beauty case con l’essenziale di cosmetici, qualche elastico, una penna a scatto. Il portafoglio rimase chiuso, nessuno lo voleva aprire, poi lo feci io: due pezzi da cinquantamila lire. E basta. Non una banconota più piccola, non una moneta. Solo due Bernini.
Facevamo già i conti per come dividere centomila per tre, quando nella penombra qualcosa fece capolino da una tasca del portafoglio: era lei, la carta d’identità. C’era un nome, un cognome, un indirizzo. Era la sera della vigilia di Natale. Come potevi portarti a casa centomila lire di una persona di cui conoscevi ormai tutto pur senza averla mai vista? Nessuno disse niente, e cominciammo a scendere da Fondo Fucile, verso l’indirizzo segnato sulla carta d’identità, passandoci la borsa da una mano all’altra; attraversammo la zona delle baracche, raschiando il fondo del barile della nostra ironia: attenti a non farci scippare, sennò sai che affare…
Ci dirigemmo all’indirizzo scritto su quella carta d’identità, cercammo il cognome sul citofono, suonammo, ci rispose la voce di una ragazza. “Abbiamo trovato una borsa.” Portone che si aprì, salimmo con l’ascensore (nessuno aveva l’ascensore, a Fondo Fucile), porta che si aprì. Si affacciò una ragazza un po’ più grande di noi, e io le allungai la borsa.
Lei sorrise, prese la borsa, ne tirò fuori il portafoglio. Sfilò una banconota da cinquantamila lire e con la faccia triste disse: “Io però qua dentro ci avevo DUE pezzi da cinquantamila… adesso ce n’è uno solo…”
Noi tre ci guardammo a lungo e ce ne andammo, ma ancora oggi nessuno ha confessato…