Dall’Isola si poteva andare via scendendo lungo il torrente Gazzi, che più avanti diventò viale Gazzi, quando ci si fece passare lo svincolo autostradale, e che portava alla zona del carcere; oppure per la via del Santo, che era quella che portava più al centro, perché sbucava praticamente sul viale Europa; o ancora per via Candore, che nessuno chiamava così, ma tutti la intendevamo “contrada Catalani”, o semplicemente Catalani, ma bisognava attraversare il rione Mangialupi, e se potevamo ce lo risparmiavamo, perché ad avere a che fare con quelli là non ci teneva nessuno. O quasi nessuno: ma questo sarà argomento di un’altra storia. Infine si poteva andare per Valle degli Angeli, forse la più breve, che ci portava in pieno Provinciale, alla chiesa. Provinciale per noi era il centro del mondo: c’erano negozi, bar, rosticcerie, e per questo Valle degli Angeli era la nostra discesa favorita.

Quel giorno, ritirandoci dal mare, stavamo tornando a casa salendo per Valle degli Angeli. Per andare a mare andavamo a piedi a Provinciale, prendevano il 7, che ci portava al Rialto Azzurro, sulla Panoramica, e poi scendevamo a Pace lungo la stradina di villa Bosurgi. Al ritorno facevamo il percorso al contrario.

Saranno state le tre del pomeriggio e faceva un caldo micidiale; salendo per la Valle, si arrivava al campo, che era un campetto di calcio a 5 quando il calcio a 5 non era ancora stato inventato (o almeno non era stato codificato), si scavalcava una bassa collina ed eravamo all’Isola. Poco prima del campetto, Sgabello notò in un balcone al pianterreno una gabbietta con un cardellino dentro: senza pensarci su un attimo, scavalcò, afferrò la gabbietta e scappò, anzi scappammo. Una vecchietta che stava esattamente di fronte a quel balcone, però, aveva notato la manovra e aveva iniziato a strillare: “Don Petru, don Petru, vi stann’arrubbannu!!

Don Pietro fu fuori in men che non si dica, ma noi avevamo vantaggio e gioventù, e riuscimmo a seminarlo con facilità. Scavalcammo la collina e fummo all’Isola. Ci sedemmo in cima alle Scale, sopra la fermata dell’1, e stavamo a commentare la giornata, quando una macchina, una Giulia grigio scuro, si fermò alla base della scalinata: “Scusate, sapete dove abita la famiglia Gugliandolo?”

Noi lo sapevamo. Sgabello lo sapeva, e con la gabbietta sottobraccio si avvicinò all’auto, seguito da Montagna, il quale ebbe l’illuminazione: “Ma è don Petru, scappamu!!

In effetti era il padrone del cardellino, con due sgherri più giovani, che non avendo potuto raggiungerci a piedi, aveva fatto il giro con la macchina e ci aveva raggiunti. Scappammo, tutti per direzioni differenti; Sgabello e Montagna andarono in basso, verso le baracche, e si infilarono nel labirinto. Noi, che eravamo fuggiti verso l’alto, capimmo che nessuno ci avrebbe più inseguito, e tornammo indietro a curiosare. Facemmo in tempo a vedere dallo Spiazzale, un punto sopraelevato, che i nostri due compagni si erano infilati nella baraccopoli, e subito si erano divisi: Montagna si infilò nei vicoli strettissimi, sparendo subito alla vista; Sgabello costeggiò il recinto della scuola media, non si avvide di un filo messo da qualcuno delle baracche per stendere i panni, lo prese in pieno con la gola, rimanendovi impigliato. Finì prima in orizzontale, poi cadde pesantemente a terra; la gabbietta gli volò dalle mani e cadde un poco più in là, lui rimase tramortito in terra, tanto che lo demmo per spacciato.

Invece accadde un prodigio: don Petru e i suoi due sgherri lo ignorarono, e si misero alle calcagna di Montagna. Dopo qualche minuto Sgabello si alzò, mezzo intontito, e si sedette in cima alle scale con noi. Dopo un po’ vennero fuori i tre giustizieri, raccolsero la gabbietta, montarono in macchina e partirono. Dopo ancora, dall’intrico di baracche venne fuori Montagna, con la maglietta strappata, pieno di lividi e la bocca sanguinante. Sedette anche lui con noi, ma nessuno ebbe animo di aprir bocca. Dopo fu lui stesso a parlare: “Ero riuscito a sfuggire, correvo all’impazzata, ma a un certo punto mi sono ritrovato in un vicolo cieco. Sono tornato indietro di qualche passo, mi sono nascosto dietro una pila per lavare la biancheria e mi sono fatto piccolo piccolo. Ho sentito i passi di quelli che correvano, li ho sentiti arrivare alla fine del vicolo, fermarsi, bestemmiare e tornare indietro lentamente, fino ad allontanarsi. Poi ho sentito una voce di bambina, ma di una bambina proprio piccola, chiamare: allèi, allèi!!… ccà è! E i passi di quelli che tornavano, mi circondavano, e mi conciavano come mi vedete…”